Le tecnologie digitali sono sicuramente un catalizzatore per l'”Open Science”, cui valori fondanti sono l’accesso pubblico alla conoscenza e la conseguente democratizzazione della scienza (UNESCO, 2015; Commissione Europea, 2015).
Tuttavia, le potenzialità della rete implicano criticità che viaggiano insieme ai vantaggi.
In primo luogo, strumenti e ambienti digitali potrebbero supportare le istituzioni nello sforzo di generare una scienza partecipata, di usare i risultati e processi scientifici in modo più diretto per promuovere processi di trasformazione e di innovazione. In particolare, potrebbero facilitare l’uso dell’informazione scientifica per innescare l’innovazione e l’apprendimento a livello formale e non formale in nuove forme di partnership tra mondo del lavoro e società. Tuttavia, un nodo critico relativo con riguardo a questo vantaggio è la necessità di considerare aspetti di proprietà intellettuale non solo dei prodotti finali ma anche di “datasets”, dei dati usati e pubblicati. Le differenze normative a livello istituzionale, nazionale e internazionale dovranno essere allineate progressivamente, per offrire ai ricercatori un panorama di chiaro supporto all’attività di pubblicazione, anziché una grande frammentarietà ed eventuale conflittualità tra prodotti intermedi e finali dell’attività di ricerca (Borgman, 2007,2015).
In secondo luogo, una ricerca “data-intensive“, basata fortemente sui dati raccolti attraverso complesse strutture digitali (cyberinfrastructures) che vanno da sensori digitali sul territorio e le “wearable technologies” ad ambienti dotati da strumenti per il data mining, rinnoveranno completamente il modo di analisi ed interpretazione scientifica. Una forte problematica legata a questo aspetto però è data dal fatto che ogni forma di pubblicazione digitale richiederà ingenti sforzi di manutenzione e cura degli oggetti digitali generati, attraverso infrastrutture appropriate (cyberinfrastructures). Si renderanno necessarie forme di collaborazione interistituzionale per catalogare, curare, accedere, usare e diffondere gli oggetti digitali della comunicazione scientifica.
Per ultimo, la collaborazione accademica attraverso la rete e a partire dalla visibilità dei prodotti della ricerca sulla rete, può portare a nuove e più eque modalità di costruzione della reputazione scientifica. Ciò nonostante, la partecipazione ad una cultura accademica digitale implicherà notevoli sforzi da parte degli accademici per concepire nuovi processi di lavoro, e soprattutto, a livello istituzionale, per riconoscere e valutare la carriera accademica.
Un così cangiante scenario richiederà adeguati strumenti di formazione sia per lo staff tecnico che opera con i prodotti della ricerca (dai bibliotecari che curano e supportano la diffusione degli stessi, agli informatici che programmano applicativi e strumenti per loro accesso ed uso). Ma soprattutto, comporterà nuovi programmi di formazione alla ricerca e alla didattica, ciò che altrove è già riconosciuto come “Faculty Development” e che in Italia non è ancora considerato parte degli impegni accademici. Infatti, la formazione alla professione accademica è autonoma, molto contestualizzata nel proprio settore di riferimento disciplinare e molto informale, ad eccezione del dottorato come momento formalizzato e comunque connesso ai modi di far ricerca degli ambiti di riferimento.
Lo sviluppo professionale del personale accademico dovrà quindi muoversi verso la “Digital Scholarship“, concetto esplorato molto bene dal libro aperto di Martin Weller (2011), che riguarda giustamente le skills (fare) e l’identità professionale che si costruisce (essere) in contesti che oltre essere digital sono open e non meno importante, networked.
La preoccupazione per strutturare una solida offerta formativa dello staff accademico all’uso di tecnologie digitali per l’Open Science e per l’Open Learning è ben nota alla Commissione Europea, che attraverso il programma Horizon, sottoprogramme “Science in and with Society” ha deciso di dedicare una call specifica per il “training”. Già dal 2014, UNESCO ha lanciato un set di moduli sull’Open Access e la ricerca aperta, e Miriada offriva dal 2013 un MOOC “La Ciencia en Abierto”. Ci sono ormai numerose iniziative proposte attraverso il progetto OpenAire come workshops (in presenza) e webinars (a distanza) a supporto dei ricercatori. EUDAT (la infrastruttura collaborativa e Pan-europea a supporto della gestione dei dati per la ricerca) ha un programma di formazione completo, basato in attività in presenza e a distanza.
In Italia, oltre il progressivo sviluppo di una cultura open dagli specifici atenei, già il progetto supportato dall’Agenda Digitale italiana “Science & Technology Digital Libraries” prevedeva come una delle attività principali lo sviluppo di un’offerta formativa basata sul cambiamento della comunicazione scientifica. Di particolare importanza lo sforzo dell’Università di Trento, attraverso il corso aperto “Diritto d’autore e Open Access”, che è in erogazione flessibile fino al 16 Settembre 2016.
Eppure, i contenuti e attività dell’offerta formativa su indicata (solo a modo di esempio da me conosciuto) potrebbero risultare insufficienti per coprire il fabbisogno formativo. Infatti, non si tratta solo di comprendere il fenomeno dell’Open Science, di cui l’Open Access è parte fondamentale; si tratta anche di parteciparvi attivamente, considerando le nuove e più fluide culture di ricerca sul digitale, con particolare riguardo alle potenzialità dei social network accademici e non, che sono mostra evidente del modo in cui si collabora e si condividono i prodotti scientifici. La potenzialità di questi strumenti è enorme ed ha il valore non solo di supportare la progressiva apertura, ma di mettere in discussione il modo in cui si fa scienza (Manca & Ranieri, 2014; Nicholas, Herman, & Jamali, 2015; Ossiannilsson & Creelman, 2012). Non che non ci sia polemica al riguardo! Le differenze tra Open Repositories e Academic Social Network, problematica già espressa da Galimberti nel suo articolo su ROARS, è una questione tutta da esplorare. Come lo propone Goodfellow, tra digitale, aperto e in rete (Digital, Open and Networked) vi è un rapporto di tensioni dove un elemento non implica necessariamente l’altro. Goodfellow parla infatti di “un triangolo (im)possibile”. A questo punto, è necessario pensare sia a conoscenze (strumenti e problematiche del Open Access) ma anche a set di skills più operativo/procedurali in stretta connessione con la ricerca, il reperimento, la gestione, la disseminazione e la valutazione, in aperto, di prodotti della ricerca e della didattica: dai dati agli articoli e volumi, passando per tutta una gamma di forme di produzione come i blog, le infografie, le collezioni di produzioni degli studenti, ecc.
A questo punto, il “Faculty Development” relativo ad una nuova cultura di ricerca e didattica aperta richiede focalizzare in primis la definizione di processi e flussi; per pensare ad un framework di competenze e conoscenze necessarie, in un contesto di sviluppo professionale istituzionalizzato. In questo senso, sicuramente Maria Ranieri ha fatto un contributo che parte dall’esperienza del gruppo di ricerca fiorentino sulla competenza digitale. Ma molto resta ancora da fare.
Come è stato indicato in un recente report tecnico basato sull’analisi della letteratura, la ricerca sulla “Digital Scholarship” sembra arenata sull’analisi delle forme di uso di strumenti e ambienti digitali, delle difficoltà incontrate dai ricercatori nelle proprie culture istituzionali per aprire la ricerca e la didattica e per farlo attraverso il digitale. Poco si sa ancora su come potrebbe funzionare un programma di formazione mirato. Tanto meno vi è una comprensione sul tipo di ambienti di apprendimento professionale (più flessibili e personalizzati, costruiti sulla base di aggregatori di oggetti e strumenti già esistenti, come mappato dal rapporto dell’European Joint Research Center) e sull’impatto che tali attività potrebbero avere sul cambiamento delle culture istituzionali.
Lo scenario si evolverà con estrema velocità e probabilmente nella direzione auspicata. Tuttavia, una maggiore riflessione interdisplinare sul cambiamento della professione accademica legato ad uno sforzo istituzionale per promuovere esperienze formative supporterà un processo più equo ed efficace. Per ora, non perdiamo di vista ciò che di positivo sta già accadendo, a livello nazionale ed europeo.
E dovremo trovare un termine in italiano per parlare della digital scholarship, si spera: come in tutti i campi semantici, la mancanza di definizione e di inquadramento di una problematica, implica l’assenza di terminologia adeguata per nominare un fenomeno; e l’assenza di parole adeguate, vieta agli attori di condividere processi comuni di sense-making e di pratiche atte al cambiamento.
Tutte le opinioni, pareri e giudizi espressi su questo articolo rappresentano esclusivamente il punto di vista personale dell’autore.
Bibliografia consultata e riferimenti.
Borgman, C. (2007) Scholarship in the Digital Age. Cambridge: The MIT press.
Borgman, C. (2015) Big Data, Little Data, No Data: Scholarship in the Networked World. Cambride: The MIT press
Boyer, E. L., Moser, D., Ream, T. C., & Braxton, J. M. (2015). Scholarship Reconsidered: Priorities of the Professoriate. San Francisco, CA: Wiley&Sons.
Braxton, J. M., Luckey, W., & Helland, P. (2002). Institutionalizing a broader view of scholarship through Boyer’s four domains. Hoboken (NJ): Wiley- Jossey Bass.
Entwistle, N. (2009). Taking Stock: Teaching and Learning Research in Higher Education. In H. Christensen & J. Mighty (Eds.), Taking Stock: Research on Teaching and Learning in Higher Education. Kingston, Ontario: McGill-Queen’s University Press.
Esposito, A. Sangrà, A., Maina, M. (2015) Learning ecologies as new challenge and essence of e-learning. The case of PhD e-researchers. International Handbook of E-Learning. Ch. 24. Editors: Ally, M., Khan, B. Routledge.
Goodfellow, R. (2014). Scholarly, digital, open: an impossible triangle? Research in Learning Technology, 21. doi:10.3402/rlt.v21.21366
Goodfellow, R., & Lea, M. (2013). Literacy in the Digital University: Critical Perspectives on learning, scholarship, and technology. (R. Goodfellow & M. Lea, Eds.). London: Routledge. Retrieved from http://oro.open.ac.uk/34778/
Kirkup, G., & Kirkwood, A. (2005). Information and communications technologies (ICT) in higher education teaching—a tale of gradualism rather than revolution. Learning, Media and Technology, 30(2), 185–199. doi:10.1080/17439880500093810
Manca, S., & Ranieri, M. (2014). I Social Media vanno all’università? Un’indagine sulle pratiche didattiche degli accademici italiani. ECPS – Educational, Cultural and Psychological Studies, (10), 305–339. doi:10.7358/ecps-2014-010-manc
Manca, S., & Ranieri, M. (2016). “Yes for sharing, no for teaching!”: Social Media in academic practices. The Internet and Higher Education, 29, 63–74. doi:10.1016/j.iheduc.2015.12.004
Nicholas, D., Herman, E., & Jamali, H. R. (2015). Emerging reputation mechanisms for scholars. Seville, Spain. doi:10.2791/891948
Ossiannilsson, E., & Creelman, A. (2012). From proprietary to personalized higher education – how OER takes universities outside the comfort zone. Journal of E-Learning and Knowledge Society, 8(1), 9–22. Retrieved from http://www.je-lks.org/ojs/index.php/Je-LKS_EN/article/view/583
Ranieri, M. (2014) Le competenze digitali dei giovani ricercatori. Quadro teorico, modelli di analisi, proposte formative. Pedagogia Oggi, 1/2014 – 1800-198
Reed, P. (2012). Awareness, attitudes and participation of teaching staff towards the open content movement in one university. Research in Learning Technology, 20. doi:10.3402/rlt.v20i0.18520
Teichler, U., Arimoto, A., & Cummings, W. (2013). The Changing Academic Profession – Major Findings of a Comparative Survey. (U. Teichler, A. Arimoto, & W. Cummings, Eds.). London & New York: Springer.
Weller, M. (2011). The Digital Scholar: How Technology is Transforming Scholarly Practice. Bloomsbury Academic.
Websites:
European Commission (2015) – Open Science – https://ec.europa.eu/digital-single-market/open-science
UNESCO (2015) – Open Access to Scientific Information – http://www.unesco.org/new/en/communication-and-information/access-to-knowledge/open-access-to-scientific-information/
UNESCO (2015) – Open Access Curriculum – http://www.unesco.org/new/en/communication-and-information/resources/news-and-in-focus-articles/all-news/news/unescos_open_access_oa_curriculum_is_now_online/#.Vt_2V_nhCUk
Immagine:
Padlock
PDPics, 2013 – CC0 Public Domain
https://pixabay.com/it/lucchetto-sbloccato-blocco-chiave-166882/
One thought on “Formarsi ai nuovi scenari di produzione scientifica della Digital, Open and Networked Scholarship”