Il giovedì prossimo parteciperò ad un seminario organizzato dal Prof. Maurizio Zani del Politecnico di Milano. Continua un percorso di collaborazione che si snoda dalle didattiche per classi numerose nell’ambito della fisica (con pubblicazioni nell 2017 e 2018), all’educazione scientifica in generale.
Lo farò a partire dal mio lavoro sull’Open Science e la riflessione che sto conducendo nel contesto dell’alfabetizzazione ai dati. Questo lavoro mi ha visto coinvolta in una rete per la presentazione di un progetto nel ambito della call H2020 sull’ Open Schooling che mi ha portato ad osservare il grave problema della semplificazione epistemologica nel campo della tecnologia, essendo partita dallo studio dell’adozione delle tecnologie digitali che oggi si espandono fino a toccare la robotica e l’intelligenza artificiale.
A cosa mi riferisco con semplificazione epistemologica? Ad una visione della scienza come ambito “inerte”, nel quale non ci sono bias culturali (provocati dallo stesso posizionamento cutlurale e sociale dei ricercatori) né soggettività. In particolare, l’aspetto della “critical data literacy” ha portato a riflettere sulla complessità della trasformazione del fenomeno in dato (frequentemente dato numerico), da questo in informazione, e dall’informazione in interpretazione.
Tuttavia, questa esplorazione rimarrebbe incompleta se non trattiamo tutti gli aspetti e problemi dell’educazione scientifica, cosa che mi sono occupata di fare attraverso numerose conversazioni con scienziati, think tank, donne per le donne nella scienza nella tecnologia, e ricerca e innovazione responsabile.
Ecco una stretta sintesi di quello che ho raccolto e dei modelli di intervento educativo che ho discusso.
Carenza di skills tecnologiche in EU: perché servono STEAM e non STEM
La carenza di STEM in Europa ostacola lo sviluppo dell’innovazione tecnologica e della ricerca; in effetti, esiste una discrepanza tra le competenze offerte e le richieste del mercato del lavoro (CEDEFOP, 2016). I dati disponibili sull’iscrizione dei giovani, in particolare le ragazze, ai diplomi di laurea STEM (Scienza, tecnologia, ingegneria e matematica) sottolineano la necessità di azioni convergenti per sostenere la più ampia conoscenza e il coinvolgimento dei giovani in tali settori disciplinari (UNESCO , 2017). La motivazione a seguire un percorso STEM è ostacolata da diversi fenomeni:
- a) genitori senza background STEM, o con atteggiamenti e credenze negative nei confronti delle STEM, e in particolare le madri nel caso delle ragazze (Sáinz & Müller, 2017, Tomasetto, Alparone, Cadinu, 2011) ;
- b) la percezione della difficoltà di queste materie e l’ansia che scatenano negli studenti (Tomasetto, Mirisola, Galdi & Cadinu, 2015; Galdi, Mirisola & Tomasetto, 2017); e
- c) la mancanza di una cultura scientifica all’interno del proprio ambiente culturale locale, a cominciare dalla scuola (Gunderson, Ramirez, Levine & Beilock, 2012).
Nonostante i risultati di molti studi e ricerche, gli approcci didattici nozionistici delle scienze prevalgono sulle metodologie attive, autentiche e collaborative (Talanquer, 2014; Wang & Degol, 2013). Ciò è particolarmente vero in contesti culturali in cui la scienza non è incorporata nel tessuto sociale, dall’attività economiche alle piattaforme politiche. Quindi non esiste sufficiente lavoro di rete nel contesto educativo allargato in cui si colloca la scuola come organo di sviluppo territoriale. Inoltre, a livello di elaborazione delle politiche nell’UE e tra organismi internazionali come l’OCSE e l’UNESCO, si riconosce la necessità di una formazione iniziale e continua degli insegnanti più efficace per insegnare scienza e tecnologia, andando oltre i silos disciplinari verso una visione più ampia che coinvolga le scienze sociali e umanistiche.
Il risultato è che i giovani nella loro adolescenza non trovano riferimenti chiari e motivanti per promuovere la loro formazione nel campo delle STEM (Holmegaard, Madsen e Ulriksen, 2014). Mentre la prima formazione scientifica deve senz’altro essere svolta a scuola, una cultura scientifica si sviluppa anche e soprattutto al di fuori della scuola. Nella fattispecie, attraverso quegli ambienti non formali che danno maggiore flessibilità al modo in cui i giovani si avvicinano alla scienza e attraverso le reti digitali anche (Talanquer, 2014).
La letteratura scientifica indica che i giovani sono più motivati ad imparare complessi concetti scientifici se comprendono come la scienza viene condotta da un punto di vista narrativo, della personale esperienza degli scienziati nel fare scienza oppure della relazione della ricerca scientifica con problemi economico-sociali (come nel caso della ricerca nell’ambito biomedico, oppure del settore ingeneristico) oppure del contesto ecologico che ci sostiene e circonda (come nelle scienze della terra, la biologia, etc.) In percorsi formativi efficaci, che possiamo tracciare storicamente nella vita degli scienziati, si osserva come viene costruita la vocazione in relazione all’esplorazione di problemi che porta ad una padronanza di un linguaggio della scienza (in particolare la matematica, ma anche il coding o pensiero computazionale, di recente). Meno frequente la riflessione su come si sviluppano le problematiche dei metodi scientifici, quali sono i contesti sociali e culturali della scoperta, come gli scienziati imparano e si aggiornano e in particolare, come affrontano i dilemmi etici posti dall’innovazione scientifica, aspetto che appare più presente in coloro che intrapprendono carriere nell’ambito delle scienze sociali o la filosofia. Tuttavia, la scoperta scientifica è un atto creativo fortemente orientato da problematiche sociali.
Tale atto creativo necessario alle STEM, così come i valori etici che circondano la scienza e le tecnologie, richiedono quindi approcci interdisciplinari che abbracciano la prospettiva delle scienze sociali, dell’arte e delle discipline umanistiche, al di là dei silos STEM. Qui è dove il concetto di STEAM entra in gioco: una “A” che inizialmente è stata legata alle “Arts” per collegare la scienza come atto creativo, e l’atto creativo artistico come gesto che può fare uso delle scoperte più avanzate. Tuttavia questa A via via si è estesa a tutte le materie (ALL, in inglese) che attraversano le STEM nello studio o comprensione della scienza come fenomeno culturalmente e socialmente determinato. Le esplorazioni scientifiche diventano quindi più integrali e appaganti, affrontando la responsabilità civile nel processo di sviluppo della conoscenza scientifica. In tale senso, una scienza aperta, che si misura come sistema di conoscenza con la quotidianità e l’esistenza delle persone in una società, sembra l’unica strada possibile. Inoltre, battendo questa strada si riesce ad ottenere un doppio vantaggio: quello della generazione di una cultura di conoscenza umana che si basa fortemente sulle scoperte, ma anche sui principi del metodo scientifico. Questa è proprio la direzione europea dell’indicazione di lavorare in una “Responsible Research and Innovation” , sin dal 2014.
Aprire la scienza, aprire la scuola
Da quanto prima detto, ne consegue che aprire i processi scientifici ai giovani in modo che possano comprendere e mettere in discussione problemi e metodi, prendendo in considerazione le proprie percezioni sulla rilevanza sociale dello sforzo scientifico, è un percorso necessario per generare impegno in STEAM. Nel contesto di Responsible Research and Innovation (RRI), questa prospettiva ha più senso che mai.
Negli ultimi anni sono stati sviluppati diversi metodi per avvicinare la scienza alla società, in particolare Open Schooling, che è stato molto esplorato tramite H2020-SwafS per generare “cross-fertilization” e collaborazioni tra scuola e scienza come sistemi di confini interscambiabili. Numerose esperienze pionieristiche, come Open Schools for Open Societies (https://www.openschools.eu/) o La rete europea di centri e musei scientifici (https://www.ecsite.eu/), nonché i “living labs” (ENoLL https://enoll.org/ ; Vilariño & Karatzas, 2018) hanno principalmente affrontato la necessità di creare reti e visibilità delle attività di educazione scientifica attraverso approcci in cui gli studenti e le famiglie partecipano alla comprensione del disegno della ricerca, alla raccolta dati, a forme basilari di analisi e alla discussione delle interpretazioni dei fatti da parte degli scienziati. Inoltre, deii progetti approvati nell’ambito del programma SwafS (http://www.scalings.eu/, https://newhorrizon.eu/, https://www.openschools.eu/, https://www.ecsite.eu /, oltre a diverse azioni connesse a Schoolnet (http://www.eun.org/projects/stem) hanno affrontato strumenti per la RRI, come le strutture di co-creazione di conoscenza (di cui i living labs ne fanno esempio), con l’obiettivo di integrare gli interessi dei cittadini/studenti verso la valorizzazione di processi scientifici .
Nonostante queste numerose iniziative, nel 2015 il gruppo di esperti sull’educazione scientifica della Commissione Europea, come indicavo prima, continuavano a segnalare la problematica del divario di genere nella scelta di carriere scientifiche e la necessità di migliori condizioni di sviluppo professionale per gli insegnanti . Queste problematiche vanno chiaramente al di là di strutture e reti innovative come quelle che ho prima menzionato. Si tratta di ambienti stabili, continui, supportati da politiche e culture istituzionali che consentono lo sviluppo di vocazioni e capacità. In parole povere, non mi riferisco a corsi di formazione per gli insegnanti tanto rigidi quanto i metodi in aula, ma a comunità professionali ricche di stimoli per poter implementare innovazioni didattiche che portino a supportare i ragazzi nell’esplorazione della scienza.
La scelta vocazionale infatti è un percorso lungo, che non dipende solo dalla scuola, ma che può essere molto influenzato dalla stessa. Da un lato, i bambini dai 5 ai 6 anni sviluppano progressivamente vocazioni scientifiche basate su una serie di stimoli, figure di riferimento in famiglia, e motivazioni verso ciò che veramente conta nella vita futura (Tomasetto et al. 2015). Tuttavia le scelte professionali verso o al di fuori dalle carriere scientifiche avvengono tra i 10 e i 14 anni e rimangono stabili in futuro, ed è in questo periodo che gli insegnanti (come modelli di riferimento, che possono rassiccurare o indebolire il concetto di sè come futuro scienziato negli studenti) contano molto (Archer, DeWitt, Osborne, Dillon, Willis, Wong, 2013; Aschbacher, Ing, Tsai, 2014). Il caso delle ragazze è ecclatante: tendono a presentare una fiducia in sé stesse molto più instabile nell’ambito scientifico e tecnologico, che poi può essere gravemente indebolita nella scuola (Sáinz & Eccles, 2011). Fin dai primi anni, le ragazze sono influite fortemente dalle famiglie e dal sistema per impegnarsi in discipline umanistiche, assistenza sociale e istruzione anziché percorsi scientifici e particolarmente, percorsi tecnologici (UNESCO, 2017). L’impegno nelle carriere scientifiche per le ragazze (e non solo), dipende quindi da una serie di stimoli specifici che indirizzano l’attenzione, la fiducia in sé stessi e la passione verso il modo in cui la scienza, e io come scienziato, possiamo spiegare e trasformare il mondo (Eccles et al, 1993; Eccles & Wigfield, 2002).
Dall’altro canto, gli insegnanti come principali mediatori culturali dell’educazione scientifica, potrebbero non avere il necessario supporto per portare avanti pratiche che vadano al di là della classe, nemmeno attraverso la tecnologia (video di sperimenti, laboratori di realtà virtuale e coding, ecc.). Perché l’aula sia aperta generando un continuum di esperienze che vanno dall’apprendimento formale a non formale e informale – gli insegnanti devono essere supportati nel riconoscimento dei percorsi di innovazione come necessari, e nella disponibilità di risorse, ambienti e materiali a cui poter attingere facilmente per orientarsi nell’attività in aula. La letteratura sullo sviluppo professionale degli insegnanti evidenzia in effetti l’importanza di formare comunità professionali all’interno della scuola e tra scuole come struttura per attivare opportunità di apprendimento professionale, con insegnanti esperti che coinvolgano i meno esperti nelle innovazioni educative (Romeu et al, 2020; Sangrà, Sanmamed & Guitert, 2013; Hendriks et al., 2010). Nel contesto di policy, devono anche essere motivati gli scambi tra scienziati (disponendo materiali, dati, esperienze come orientamento RRI) e insegnanti (come interlocutore privilegiato nel portare gli sviluppi scientifici verso l’insegnamento come attività primaria di divulgazione della cultura scientifica).
Infine, ma non meno importante, i cambiamenti culturali nelle famiglie e nelle istituzioni (come l’università che deve riconoscere la RRI come attività valida per l’avanzamento di carriera, oppure la scuola che apre l’aula al mondo) richiedono tempo e diversi cicli di esposizione all’innovazione perché le formae mentis cambino. Un’ottima opportunità per innescare tale cambiamento è oggi fornita dalle questioni locali e globali che pongono domande per le quali non abbiamo ancora risposta, come i cambiamenti climatici, l’inquinamento degli oceani, l’invecchiamento della popolazione, o l’intelligenza artificiale. Problemi che stanno diventando sempre più centrali per dare risposta alle interdipendenze planetarie verso un “cultura glocal”, socialmente più equa. Questi problemi si allineano con una visione del futuro che tutti i giovani, in particolare le ragazze, possono sentire come propri.
Non si tratta solo di rendere disponibili un pacchetto di metodi consolidati collegati a scenari specifici per la personalizzazione dell’educazione scientifica (cosa molto desiderabile nel breve termine) da parte delle scuole, secondo l’approccio Open Schooling. Si tratta di coltivare lo sviluppo di reti di collaborazione per una scienza “viva” che stimola il futuro vocazioni scientifiche, attraverso una visione più complessa, socialmente determinata, di ciò che la scienza e il metodo scientifico sono per il divenire dell’umanità.
Riferimenti
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